Cosa dobbiamo al ’68, di cui si celebra il 50mo anniversario? Niente di buono.
Ma proprio niente, niente? No, il ’68 è stato una truffa: ci hanno spacciato una cosa chiamata “libertà” e in realtà stavamo comprando un progetto totalitario. Ci hanno spacciato la rivolta dei giovani, ma quelli si sono insediati al potere una volta diventati maturi, si sono trasformati in gerontocrati, molto peggio di chi li aveva preceduti.
Il ’68 non è stata neppure una rivoluzione, come si deduce dai toni nostalgici di quelli che vi hanno preso parte, tutti invariabilmente delusi dai suoi esiti. E’ stata una “jacquerie”, il caos contadino medievale, la ribellione dei servi contro il padrone feudale spontanea, priva di organizzazione politica, priva di un fine. Spesso si concludeva con la vittoria dei contadini, che però poi gozzovigliavano, saccheggiavano e inneggiavano al padrone feudale contro cui si erano ribellati (previo rogo o squartamento di qualche capro espiatorio puntualmente fornito dal padrone). Questo è stato il ’68.
Parli con chi è stato movimentista, gli chiedi perché si ribellava e nel 99% dei casi sentirai una serie di slogan incomprensibili e incoerenti. La dimostrazione più lampante della confusione che c’era in quelle menti (e che c’è tuttora nei Sessantottini più recidivi) è che nessuno si riconosce in una definizione, né in una descrizione (e in compenso tutti si indignano e ti danno dell’ignorante se provi a inquadrarli). “Allora volevi l’anarchia?” “No, figurati, quella è utopia!” “Ma volevi il comunismo?” “Sei ignorante! Il comunismo non è mai esistito!” “Volevi la socialdemocrazia?” “No! Era decadente e borghese” “Ma allora, cosa volevi?” Nella maggior parte dei casi si parlava e si parla tuttora di ribellioni, non contro un re, un dittatore, un governo, ma contro concetti.
Dunque abbiamo una ribellione contro la famiglia, una contro il maschio, una contro l’educazione borghese, una contro la morale tradizionale borghese, una contro lo sfruttamento del proletariato e l’altra per il diritto universale alla casa, una per la “fantasia al potere” e una contro lo Stato Imperialista delle Multinazionali, ecc…
Dopo la prima parte fatta di manifestazioni e scioperi si è passati alla seconda parte cruenta del Sessantotto, durata almeno fino al 1978, caratterizzata da bombe, stragi, intimidazioni, gambizzazioni e assassinii. E contro chi, dato che si combatteva contro concetti? Bella domanda. A restar vittime dei rivoluzionari erano tutti coloro che venivano identificati come servi del sistema che si voleva combattere, anche se essi stessi non ne erano affatto al corrente. Come nei regimi totalitari, si veniva condannati senza sapere il perché.
Poi c’è un 1% dei casi in cui il sessantottino veterano dei movimenti sapeva perfettamente per cosa combattere e lo sa spiegare in modo cristallino: si combatteva per instaurare un regime totalitario comunista, sul modello di quello sovietico. Una minoranza ne voleva instaurare uno di tipo maoista, che era ancora peggiore. Dunque abbiamo una massa che ha fatto la jacquerie senza sapere bene il perché. E una piccola “élite” rivoluzionaria che sapeva perfettamente per cosa si stesse combattendo: la dittatura del proletariato. Se la jacquerie si fosse trasformata in rivoluzione, avremmo avuto la dittatura: i più organizzati, dopo un rovesciamento di potere, comandano sempre sui meno organizzati. I sessantottini “libertari” certamente non si identificheranno in questo ritratto.
Ma è un dato di fatto che il Sessantotto non ha prodotto più libertà. Semmai ci ha lasciato in eredità un paese meno libero. Si vanta come un successo la presunta “emancipazione” dalla famiglia. Ma qual è l’unica alternativa alla famiglia? Lo Stato. Quindi abbiamo figli e mogli che dipendono dallo Stato e dal suo sistema di welfare molto più che in passato. Liberazione dall’educazione borghese? A parte la farsa del 6 politico e del 18 politico, che ha prodotto una generazione di ignoranti, cosa avrebbe mai dovuto sostituire l’educazione borghese? L’indottrinamento comunista, come nell’Urss e come in Cina. Niente altro. Ai giovani “liberati” dall’educazione vecchio stampo si chiedeva solo un imparaticcio di Marx, Lenin, Mao, Marcuse e qualche altro pilastro dell’ideologia comunista. La proprietà è un furto: su questo erano d’accordo tutti i vari movimenti antagonisti, che organizzavano occupazioni di case e furti nei negozi, pratiche tuttora in uso. E cosa sostituire alla proprietà? A parte l’illusione della gestione collettiva dei beni, l’unica alternativa era ed è la proprietà statale su tutto.
E questo basta e avanza per capire come stava girando il fumo: quando un Partito ha il controllo sulla famiglia, sull’educazione (e di conseguenza sull’informazione) e sulla proprietà privata, tecnicamente abbiamo un regime totalitario. Fortunatamente per tutti, il Sessantotto non ha prodotto il suo Lenin. E i vertici del Pci non avevano più voglia di fare la rivoluzione, quindi guardavano con una certa noia, mista ad apprensione, tutto quel movimento che avrebbe potuto anche permettere loro di prendere il potere.