Profughi sono arrivati, profughi arriveranno. Forse non l’avete ancora capito, ma non saranno fermati con muri o leggi. Quando la vita è in gioco, si gioca. E’ inevitabile. Qui si fugge da qualcosa che noi giovani, ricchi, viziati non immaginiamo. Non sappiamo immaginare, perché è difficile comprendere ciò che non si è vissuto. Non sappiamo immaginare, perché per vedere la guerra del vicino avremmo dovuto andare alla porta; ma abbiamo preferito tenerla chiusa. Non sappiamo immaginare, perché ci hanno convinto che l’uomo è buono.

Così non capiamo, se l’uomo è buono, davvero non capiamo perché si dovrebbe fuggire. Anche quando facciamo gli splendidi e affermiamo di essere vicini a questi fuggitivi, in fondo non li comprendiamo. Non li capiamo davvero. Non sappiamo cosa voglia dire avere la vita in gioco.

Per noi il gioco lo fanno altri. Se l’uomo è buono, se qualcosa non funziona è colpa sempre dello stato, della società, dei costumi, della tradizione.

Ieri ho sentito in un’intervista affermare che la violenza di certe nostre città, la delinquenza, erano inevitabili. Dato che lo stato non provvedeva a…
Ma nessuno stato, nessuna struttura può negare la nostra libertà. Se scegliamo di usarla male, come bambini viziati abituati a scaricare la responsabilità, siamo incapaci di capire che una famiglia che fugge non è un problema di qualche stato, è un problema nostro.

Nostro, certo, se ammettiamo di essere figli di uno stesso Padre. Nostro, certo, se sappiamo di essere feriti della stessa loro ferita. Nostro, se ci ricordiamo che quelli che abbiamo davanti sono beati perché perseguitati, e possiamo esserlo anche noi se cerchiamo pace e giustizia. Se ci ricordiamo che ci è stato detto di accogliere non solo i nostri amici, ma persino i nostri nemici.
Se ci accorgiamo che l’uomo non è buono, che noi possiamo non essere buoni. Facendo il male. O non facendo il bene, che in fondo è lo stesso.

Se il problema diventa nostro – anzi, mio e tuo – allora ci passa anche la paura. Quello che accade non è più in mano d’altri, è in mano nostra. 

Noi che, quando il gioco si fa duro, preferiamo non giocare.

 

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