Cari amici de “La Baionetta”, di “The Debater” e di “Pepe”
sin dalla comparsa nella blogosfera, caratterizzati da quella “lieta baldanza” di cui spesso noi giornalisti non abbiamo nemmeno memoria, siete un’imprescindibile lettura per chiunque voglia abbeverarsi a una fonte schietta d’informazione “non conforme” (sicuramente per me, che cerco di non soffocare la curiosità). La serie di interviste sul “voto cattolico” che ci state proponendo come aiuto al giudizio sono un’ulteriore e significativa conferma della qualità e del valore del vostro lavoro da autentico “samizdat”. Proprio la lettura di questi dialoghi con autorevoli campioni dell’impegno o dell’analisi politica, mi ha suscitato le riflessioni che mi permetto d’inviarvi in forma di lettera. Se lo riterrete di qualche utilità, onorato dell’eventuale pubblicazione sulle vostre “colonne virtuali”.
Mi piace condividere alcuni (s)punti in merito alla circostanza del voto politico. Non un endorsement e nemmeno un esercizio di stile. Proprio solo delle notarelle di un “soldato semplice”.
Provo a procedere con un po’ di ordine.

1) Il nostalgismo di (mai esistite) “età dell’oro”. Non è fuori luogo, con voi, citare Tolkien. In particolare, la risposta che Gandalf dà a Frodo quando questi rassegnato ammette che “Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni!”.  La guida della Compagnia gli replica: “Anch’io come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato”. Lo Scudocrociato, la Lira, piuttosto che “i gloriosi anni di Ruini e Ratzinger”: tante, troppe cose rimpiangiamo, maledendo questo tempo e il suo spirito, nel nostro sempre più “meramente reattivo” mondo di cattolici non dimentichi della Tradizione e della Dottrina. Sembra non esserci una capacità di presenza nelle “condizioni date”. Ma la politica non può non partire da una realistica considerazione di queste. Anche per cambiarle (non tutto è gestione o tecnicalità). L’unica nostalgia buona è quella “del futuro”. La lezione di Antoine de Saint-Exupéry dovrebbe sempre esserci presente: “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare”.

2) Il purismo e, all’opposto, il tatticismo del seggio “octroyée”. Due cose sbagliate non ne fanno una giusta. I cattolici italiani, per calcolo o per minorità, accettata come ineluttabile la “diaspora politica”, hanno consumato le loro energie o in velleitari tentativi (identitari, veterodemocristiani o moderatisti) o nella ricerca, in ultimo sempre dentro logiche cortigiane e piegati al tatticismo dell’algebra elettoralistica, di posti concessi. Questo, incapaci di un virtuoso extraparlamentarismo intensamente politico o di una difesa della rappresentanza “dal basso”, non sono (non siamo, ché non si può pilatescamente lavarsene le mani e fuggire al dovere dell’autocritica) stati capaci d’innescare processi che conducessero all’addensarsi in un vero “movimento popolare”, in e da cui scaturissero “nuovi leader”. I “Family Day” autoconvocati sono stati un’occasione smarrita. Non di meno lo è l’incapacità di dare consistenza e conseguenza politica al poliedrico agire sociale organizzato (e “le opere” diventano neutri “servizi”).

3) La falsa contrapposizione tra identità e responsabilità, tra Salvini e Alfano, per sintetizzare. Eppure, “tertium datur” (o almeno dovrebbe). La difesa della “Libertas Ecclesiae”, cioè della libertà che tutte le libertà davvero tutela e garantisce, chiede il giusto realismo. Uscire da ogni “necessità dello stare al governo”, ma anche rifiutare il mero “spirito d’opposizione a tinte complottiste”. Ciò considerando, una domanda: perché si è lasciato l’europeismo alla Bonino, cioè si è ultimamente collaborato a consentire la sola sua declinicazione tecnocratica e totalitariamente relativista? E un’altra: non si poteva avere una colonna sonora meno stracciona di Povia e delle sue hit complottarde?

4) Quelli che… votiamo grillino, sarà la tempesta perfetta. L’importante è “mai coi rossi”. A Torino ci hanno messo poco a cambiare idea (ma a dire “ci siamo sbagliati” sembrano non riuscirci) gli “anticomunisti per Appendino”. Quelli che ci spiegavano che “il nemico del mio nemico è mio amico”, e che ora si trovano con in mano un pugno di mosche. Anche qui, una domanda (alla Giuliano Ferrara): perché non si riesce a far tesoro, con patriottismo costituzionale e repubblicano, di ciò che si può salvare di montismo e renzismo? Si vota in forza di un’identità, ma non è ciò che votiamo ad essere identità. Se no, finiamo col ridurci al tifo.

5) Che fare, dopo il 5 marzo? Ci sarà, molto probabilmente, un’ulteriore fase di “larghe intese”. I partiti e gli schieramenti si scomporranno e rimoduleranno. I cattolici, accogliendo appieno il “magistero politico” di Papa Francesco, potrebbero giocare un ruolo non secondario (finalmente!). Ritrovando un’unità di dottrina e di azione, liberandosi dall’idea che “la politica è tutto” (anche se “tutto è politica”) essere capaci di una cura della “cosa pubblica” e di una riabilitazione della politica (e della democrazia) generando “istituzioni nuove”. Su questa sfida realtà come “La Baionetta” (non c’è politica senza cultura) potranno essere avanguardia.

Finiamola qui, forse sono stato anche troppo lungo. Davvero, però, il vostro lavoro è pro-vocante.

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