Solo 70 anni fa l’Italia ha corso un pericolo realissimo: uccisioni di massa, abolizione della famiglia e della proprietà, ateismo di Stato. Ecco quello che il Comunismo voleva davvero ed ecco come lo abbiamo evitato. E oggi?
Altro che 25 aprile, col suo solito codazzo di polemiche. Il 18 aprile è stata ricordata la vera Liberazione: i 70 anni dalle prime libere elezioni del nostro Parlamento, dopo la Costituente e dopo il referendum fra monarchia e repubblica. Sono state le elezioni più importanti della nostra storia. Si doveva scegliere, essenzialmente, fra due sistemi alternativi, una scelta esistenziale oltre che politica. Da una parte c’era la sfida costituita dal Fronte Popolare, centrato sul Partito Comunista Italiano e sul suo alleato principale, il Partito Socialista Italiano. Il Fronte proponeva un modello già in essere in Unione Sovietica: dittatura del proletariato, lotta di classe, redistribuzione della ricchezza, collettivizzazione delle terre, nazionalizzazione delle industrie, abolizione della proprietà privata e della famiglia, ateismo di Stato. Una scelta drastica e inevitabilmente sanguinosa: le rivoluzioni non si fanno coi guanti bianchi, come sosteneva Lenin.
Non si poteva abolire la proprietà privata, abolire la famiglia, abolire la religione, senza passare per violente purghe. La rivoluzione sarebbe passata, anche qui, per i gulag, le deportazioni e le fucilazioni di massa. E tutti coloro che votarono il Fronte, il 32% degli italiani, ne erano consapevoli. Non è vero che i crimini sovietici fossero sconosciuti. Come ha ammesso lo stesso Fausto Bertinotti, ultimo leader di un partito Comunista, si sapeva tutto di quel che avveniva sotto Stalin. Ma l’intellighenzia europea di allora, pittori, scrittori, filosofi, registi, giornalisti di grido, ne era conquistata. Stalin era uno dei due vincitori della guerra al nazismo. L’umanità intera era appena uscita da un’orgia di violenza senza precedenti: 60 milioni di morti in cinque anni, in tutto il mondo. Stalin, allora, aveva fatto 20 milioni di morti. Uccidere i fascisti e tutti i “nemici di classe” non era cosa che facesse storcere il naso ai nostri nonni e bisnonni chiamati al voto nel 1948. Nonostante quel terzo della popolazione votasse per la rivoluzione, dunque anche per sottomettere o uccidere i restanti due terzi degli italiani, il Fronte Popolare non vinse quella prova suprema. Fu la Democrazia Cristiana a vincere, con un successo mai ripetuto dopo di allora, conquistando quasi il 50% dei voti.
Che cosa spinse gli italiani a votare così massicciamente per un nuovo partito, nato sulle ceneri di un Partito Popolare che era esistito, per appena cinque anni, un ventennio prima? La paura fa 90 e sicuramente il terrore di finire sotto una dittatura staliniana (nonostante tutte le rassicurazioni comuniste di accettare la democrazia) giocò un ruolo determinante nell’esito elettorale. Ma a contrapporsi al comunismo fu soprattutto la Chiesa. Il voto del 18 aprile di 70 anni fa fu soprattutto una scelta fra chi credeva in Dio e chi credeva nel Comunismo, dunque nella nuova divinità materialista marxista proposta da Stalin e dai suoi alleati italiani. Fra chi sapeva che il Paradiso lo si sarebbe potuto ottenere solo dopo la morte e realisticamente, in terra, si accontentava di chiedere più libertà. E chi, al contrario, era convinto che il Paradiso lo si sarebbe potuto costruire in terra, a costo di sopprimere ogni libertà. “Nel segreto dell’urna, Dio ti vede Stalin no” recitava il celebre manifesto di propaganda elettorale firmato dal geniale e incompreso Giovannino Guareschi. E’ stato soprattutto quello lo spirito con cui si è votato. Sarebbe troppo pretendere di fare una storia della Repubblica, di quel che è avvenuto dopo. Interessante notare, comunque, che vinse l’alleanza fra Dio e la promessa di libertà, vissuta come unica praticabile per la ricostruzione di un paese distrutto dalla guerra.
Oggi lo scenario è completamente cambiato. Non ci sono più forze dichiaratamente atee che vogliono abolire la religione. Non c’è più alcuna credibile promessa di rivoluzione. Non c’è più una possibilità concreta di finire sotto una nuova dittatura. E lo jihadismo, si chiederà qualcuno? Lo jihadismo ha un suo progetto totalitario di lungo periodo, potenzialmente più terrificante ancora di quello comunista, ma non ha i numeri per fare la rivoluzione, né in Italia, né in Europa. Lo jihadismo farà ancora attentati, nella peggiore delle ipotesi spaccherà le nostre città, conquistando interi quartieri e rendendoli nazioni a parte. Ma non riesce e ragionevolmente non riuscirà a far proseliti al di fuori delle comunità che sono già musulmane. In assenza di una minaccia esistenziale credibile, è nella natura delle cose che la democrazia sia più frammentata e “noiosa”, che non vi siano altri scontri epici, né partiti o coalizioni capaci di conquistare la metà dell’elettorato.
Questo non vuol dire che non esistano sfide più subdole al sistema in cui, nel bene o nel male, abbiamo vissuto finora. Il termine “populismo” è vago ed è usato soprattutto dai vecchi partiti di governo per condannare i nuovi, per cui non è giusto usarlo per indicare il nuovo pericolo. La nuova minaccia è la “democrazia illiberale”, o “democratura”. Quel sistema dove un partito e il suo capo carismatico promettono di risolvere tutti i problemi, vincono le elezioni una sola volta e poi fanno in modo che non si voti più (se non per farsi riconfermare con maggioranze “bulgare”). E’ un sistema che tende a controllare tutto: tutti i poteri dello Stato, la magistratura, le imprese, l’esercito, la polizia, tutto nel nome di una vera o presunta volontà popolare, tutto garantito da un leader carismatico che è un po’ maestro e un po’ papà, un po’ prete e un po’ comandante in capo, a seconda delle circostanze. Le democrature le vediamo in azione nel mondo musulmano, con Erdogan in Turchia e nel mondo cristiano con Putin in Russia. In Italia non ci sono ancora all’orizzonte leader altrettanto forti. Ma molti degli attuali apirano ad esserlo.
Contrariamente alla battaglia di 70 anni fa, non si contrapporranno cattolici e atei. Il leader della prossima democratura, anzi, se vuole essere veramente il leader di tutto il popolo non potrà che presentarsi come il vero difensore dei valori cristiani tradizionali. E molti cattolici, inorriditi dalla modernità, delusi dalla democrazia e dai suoi compromessi, vorranno votarlo credendolo realmente come il nuovo “uomo della provvidenza”. Saranno degli illusi, voteranno in buona fede commettendo lo stesso errore di coloro che votarono il Fronte come creatore del Paradiso in terra. Senza più libertà, infatti, nemmeno la Verità può sopravvivere. Senza possibilità di scegliere, non si può essere obbligati al Bene. E i compromessi che si devono accettare in una democratura sono a tutti i livelli: accettare la violenza di Stato come normale, accettare la menzogna sistematica di chi è al potere, accettare le peggiori forme di corruzione, inevitabili quando un potere si sedimenta a lungo senza alternative.
Contro il pericolo della democratura si contrappongono partiti più moderati, apparentemente più razionali, che propongono, grosso modo, tutti lo stesso obiettivo: fare uno Stato unitario europeo. Sostanzialmente, identificando nel voto popolare un potenziale pericolo, tendono a commissariare (da Bruxelles) la democrazia stessa. E puntano a trasformare l’Ue, che attualmente è un condominio di Stati, in un governo unitario: un unico esercito, un’unica polizia, un unico potere giudiziario, una sola bandiera e un solo inno per tutti. Magari una sola lingua per tutti. E con un unico capo, lontano, sconosciuto ai più, magari formalmente eletto da popoli che fra loro non si conoscono e non si capiscono, ma di fatto indipendente da ogni scelta popolare. Questa soluzione, questa distopia mascherata da sogno, è l’altro grande pericolo che si palesa al nostro orizzonte, nel prossimo futuro.
Purtroppo in questo tranquillo 2018, dobbiamo constatare che nessuna proposta politica sfugge a questi due gravi pericoli. I partiti anti-sistema scivolano nella democratura, quelli conservatori nell’unionismo europeo. Il 1948 fu un conflitto fra una democrazia liberale e cristiana e una dittatura totalitaria e atea. Il 2018 rischia di essere l’anno in cui si inizia a scegliere solo fra differenti sfumature di dittatura.