“E voi chi dite che io sia?”. E’ la domanda centrale dei Vangeli e della Storia. Perché nessuno ha sfidato la libertà come Gesù, nessuno come lui ha osato porsi come il motivo ultimo per cui vale la pena amare, soffrire, vivere e… morire. Eppure, 2000 anni dopo mi sembra che questa domanda sia come diluita, mescolata a tante altre, svaporata. Dovrebbe essere “la” domanda per qualsiasi uomo. Un ateo che sia serio dovrebbe essere certo che Cristo sia un inganno (e invece anche l’ateismo contemporaneo sembra evadere questa domanda). E naturalmente per un credente dovrebbe essere la questione centrale, ogni istante, ogni giorno.
Ma è così? Per quel che vedo sempre meno sono coloro che vanno al cuore. Tanti ci parlano del “messaggio” di Cristo o delle “verità morali” della Chiesa: ma quanti ci parlano del suo mistero, di chi egli è?
Riscontra anche lei questa drammatica “distrazione”? Se sì, come ci siamo arrivati?
Si può eludere la domanda che lei ci ricorda? No, anzi questa è una domanda che ogni uomo dovrebbe desiderare sentirsi rivolgere, per avere occasione di poterci riflettere: il Mistero di Cristo. Per rispondere, vorrei sviluppare qualche considerazione utile per la riflessione di coloro che leggeranno, che siano atei, agnostici, cattolici adulti e progressisti oppure cattolici e basta (sempre meno, forse, ma sempre più pieni di fede).
E’ evidente che un ateo razionalista rifiuti a priori il mistero dell’Incarnazione e della Resurrezione. Ma quello che preoccupa è che comincino a metterlo in dubbio anche taluni teologi (magari laureati per corrispondenza?). Alcuni anni fa ebbi una disputa, attraverso la prima pagina di un giornale, con un noto teologo e rettore di un seminario, che sosteneva che nel mondo globale, al fine di evitare conflitti culturali e sociali era indispensabile relativizzare le fedi religiose. Soprattutto quelle molto dogmatiche, quali il Cattolicesimo. Gli chiesi, se per relativizzare la mia fede in Cristo, avessi dovuto credere che si era incarnato parzialmente e fosse risorto temporaneamente. Non mi rispose, così si concluse la disputa. Non ho avuto l’onore di riprendere queste dispute con Odifreddi, ma con Paolo Flores d’Arcais sì, tre anni fa al Castello Svevo di Trani di fronte a circa 600 persone. Credo di aver capito qualcosa in più, grazie a queste discussioni.
Come siamo arrivati alla distrazione drammatica sul mistero di Cristo? Azzardo la seguente ipotesi: chi doveva evitare questa distrazione non ci ha molto aiutato. Provo a spiegarmi meglio. Anche io, negli anni della immaturità spirituale, mi ero rifiutato di pensare che Dio potesse imporci di credere a un mistero, un qualcosa di non comprensibile con la nostra ragione, con le nostre capacità. Mi domandavo come si potesse orientare tutta la nostra vita intorno a un mistero. Poi cominciai, grazie ad una buona guida (ecco l’importanza di una buona guida spirituale ), a capire quanti altri misteri ed altre verità la mia cultura mi aveva abituato ad accettare e cominciai a domandarmi se non fosse bizzarro distinguere fra misteri che accettavo ed altri che rifiutavo, senza avere ben capito entrambi. Per cultura imposta, in pratica. Intuii anzitutto che se fosse stato possibile per me comprendere il mistero di Dio e di Cristo, i casi sarebbero stati due: o ero in grado di pensare come il Creatore oppure il Creatore era, come me, una creatura. Intuii poi che il mistero non è contrario alla ragione, è solo superiore alla nostra ragione di creature.
Ma a questa distrazione siamo anche arrivati dimenticandoci del peccato originale e delle sue conseguenze. Nel peccato originale l’uomo si è perduto proprio per non aver creduto al mistero del suo ordine della Creazione.
E lei, professore, quale risposta personale ha dato a questa domanda? In sintesi, chi è per lei Gesù? Come ha fatto un falegname nazareno vissuto 2000 anni fa a convincerla?
Cristo (ma non solo “per me“) è colui per il quale Dio ha creato il mondo. Impressionante questa considerazione! Noi non esisteremmo neppure se Dio non avesse pensato Cristo. Il fatto che Cristo sia anche colui che ci ha fatto conoscere il disegno salvifico è una conseguenza.
Ricordo che Papa Paolo VI in una udienza generale del 1970 parlò proprio del mistero di Cristo e della esigenza di chiarirlo onde evitare la -certezza razionale- che porta allo scetticismo fino a negarlo. La natura di Dio, “Chi è” Dio, è misteriosa, ma suo Figlio, che è a sua immagine, si è rivelato. Non solo, con un’altra formula misteriosa, Cristo è presente fra noi nella Eucarestia.
Se la Verità fosse soggetta ad evoluzione la Verità diverrebbe il futuro. Ci si pensi. Lei ci ha mai pensato? E l’evoluzione potrebbe trasformarsi in involuzione, grazie alla rivalutazione del peccato, che non deve essere peccato… per non crearci scrupoli.
Ma abbiamo mai pensato ai “diritti “ che Cristo ha su di noi grazie alla sua passione e morte? Non credo ci pensiamo abbastanza.
Tornando alla “distrazione da Gesù” che vive il mondo moderno, non pensa, professore, che questa sia anche la causa della divisione sempre più forte che c’è nella Chiesa? Da una parte, i “progressisti” riducono la fede al solo “occuparsi del prossimo”, dall’altra i “tradizionalisti” la vedono esclusivamente come “un insieme di verità a cui obbedire”. Intendiamoci: cose giuste, sacrosante entrambe. E, però, poi, pochi, pochissimi, ci portano di fronte a quell’uomo, che è il motivo per cui vale la pena occuparsi del prossimo e per cui i dogmi sono veri.
Mia impressione è che i cosiddetti progressisti, differentemente dai tradizionalisti cui penso io (che non sono affatto come gli scribi e farisei), non parlano tanto del mistero di Cristo. Anzi taluni progressisti concorrono proprio a confondere questo mistero. Ciò avviene quando detti progressisti, con il fine di conciliare fede, teologia e scienza, riescono a “scivolare” sull’evoluzionismo (spirituale)…
Evoluzionismo spirituale, che, secondo molti di costoro, permette di capire il mistero di Cristo che si rinnova e va oltre lo spazio temporale. Chi è Cristo, dicono costoro, ce lo spiegherebbe lo Spirito Santo – che soffia dove vuole – e ci spiegherebbe che Cristo non è Dio incarnato per salvarci (quale conseguenza del peccato originale). Ed il Cristo immaginato dai tradizionalisti ottusi non aiuta l’uomo ad adattarsi alle richieste del mondo in cui vive e che si evolve di continuo. Perciò basta con un “Cristo statico” e “medioevale”: se noi evolviamo, deve evolvere persino la figura di Cristo, nella sua umanità e divinità. Per capire il disegno intelligente si deve usare la scienza ed accettare l’evoluzionismo. Ecco l’origine di quella che lei chiama “distrazione“. E’ grazie a questo progressismo che ci siamo arrivati, caro mio.
E riguardo la divisione nella Chiesa, che mi dice?
Certamente l’”evoluzionismo spirituale” riduce la verità di Cristo ad una specie di destino ineluttabile del cosmo, dove si perdono la libertà dell’uomo (di riconoscerlo, di credere in lui) e la libertà di Dio (di incarnarsi in un certo tempo e spazio, senza “obbedire” ad alcuna legge scientifica). Ancora una volta, mi sembra, il problema è che si vuole evitare il “rischio” dell’incontro faccia a faccia con l’uomo di Nazareth, ovvero il rischio del dover giocare fino in fondo la propria libertà.
Insomma – insisto – ancora una volta mi pare che “la questione” all’origine della divisione attuale nella Chiesa sia proprio questa dimenticanza di Cristo.
Io ho l’impressione che, oltre alle considerazioni già fatte sulla differente “visione” sul mistero di Cristo, di cui ho parlato sopra, le ragioni di divisione all’interno della Chiesa siano anche tante altre, che si sono peraltro sviluppate negli ultimi decenni. Da “spettatore” credo di aver capito che le recenti grandi spaccature siano dovute alla sostituzione nei seminari dell’insegnamento “tomistico” con teologie alla Karl Rahner. Se filosofi-teologi della statura di Cornelio Fabro o Romano Guardini vengono ignorati da almeno trenta anni, qualcosa non va. Se la filosofia alla base della nuova teologia dominante è l’esistenzialismo di Heidegger, stiamo freschi. Ma vi sono altre ragioni di divisione nel mondo cattolico, più percepibili da chi non è necessariamente esperto in teologia, ma un semplice fedele nella parola di Cristo. Ne riprendo solo alcune, peraltro quelle più identificabili da un economista come me che non è, lo ripeto, un teologo.
Il primo motivo di divisione sta nel disaccordo sul rapporto tra dottrina e prassi, come fu in passato tra dogma e pastorale. Dove però è la prassi a influenzare la dottrina, adattandola di fatto ad una realtà che non è altro che la conseguenza della non applicazione della dottrina. Ma come si può accettare che sia il pensiero a doversi adattare al comportamento, anziché il contrario? E’ evidente che se credo, il mio comportamento sarà determinato da ciò in cui credo. Al contrario, se non credo a nulla, sarà il comportamento impostomi dalla società in cui vivo a stabilire ciò che devo pensare. E’ accettabile? Beh, certo non per tutti e ciò divide.
Il secondo motivo sta nel disaccordo alla apertura alle cosiddette esigenze del mondo moderno. Sta in taluni mal concepiti principi di dialogo ecumenico. Sta in sorprendenti convincimenti che la chiesa deve limitarsi ad esser consolatrice e non più maestra, che pertanto debba uscire ed apprendere, non avendo più nulla da insegnare. Come si può pensare che ciò non divida? Pensarlo significa ritenere i fedeli ignoranti, irrazionali, tiepidi e magari anche stupidi.
Il terzo motivo sta in una forma non chiara di “luteranizzazione” del cattolicesimo. Comprensibile in una ottica “politica”, ma meno comprensibile in ottica di fede. Ha già diviso la cristianità 500 anni fa, no?
Il quarto motivo sta nella trasformazione della Chiesa in una istituzione di carattere etico-sociale. Nell’ansia di competere con “la filantropia“, la Chiesa sembra trasformarsi in una succursale di qualche organismo dell’Onu che si occupa di clima, immigrazione, povertà. Il che potrebbe esser ben compreso e condiviso, se lo fosse con spirito di carità cristiana, e per esserlo fosse anzitutto, appunto, manifesto frutto di vita cristiana, dove non si separa fede ed opere. Ma la fede si deve sentire vivere, proclamare, insegnare.
Bellissima intervista, bellissima analisi: Cristo ci ha mostrato con la sua vita cosa significhi essere uomini e come ci si deve comportare per esserlo: accettare di essere creature, figli di un Padre che ci ha sognato, ci ha voluti, ci ha amati e ci attende perché abbiamo la sua gloria.