Se non c’è più il peccato, ovvero se dio vuole solo andare a braccetto coi miei errori e con la mia infelicità, siamo sicuri che sia veramente Dio? O assomiglia piuttosto agli antichi idoli pagani? Nel qual caso, da cristiano, sarei felice di definirmi ateo.                                                                 

E’ una strana teologia quella che è in voga ai nostri giorni.

Avevamo parlato qualche giorno fa di un dio orizzontale, cioè che non si pone più come qualcosa di superiore all’uomo ma allo stesso livello.

Avevamo obiettato che il dio di una simile teologia difficilmente può riuscire a farsi amare, o anche solo a farsi rispettare. C’è persino il dubbio che rientri appieno nella definizione stessa di “dio”. In che cosa dunque sarebbe diverso da un essere umano qualsiasi? Se ogni colpa è perdonata in anticipo oppure giustificata non esiste nessuna differenza morale. Nessun peccato, il termine stesso non ha più senso.

Ma se non ha più senso allora come può qualcuno essere moralmente superiore ad un altro?

Se non c’è differenza morale allora la sola distinzione è quella fisica; un qualche superpotere, il cui uso è impossibile ad un figlio di Adamo. Sì, un supereroe, o un superbullo che gioca con la materia dell’universo. Un essere pericoloso da cui guardarsi, da ingraziarsi se possibile; a cui sacrificare in cambio dell’uso amichevole dei suoi poteri. In altre parole un dio come quello delle antiche mitologie, un Odino o uno Zeus, o un Baal. Un beone e un fornicatore, un ingannatore e un violento. Ma, rassicuratevi: non avevamo detto che la colpa non esiste? Questi dei sono gli idoli adatti.
Idoli inutili. Perché degli dei come questi non esistono; o, se esistessero, non avrebbe il mio rispetto. Non cambierebbero la mia vita. Non mi insegnerebbero a essere più felice. Per questo tipo di dei sarei ben felice di dirmi ateo, come tali venivano definiti i primi cristiani.

Il dio compagnone è una nullità morale; se anche i miracoli vengono negati, come talvolta accade, non c’è ragione neanche per tentare di ingraziarselo. Un’entità inutile, di cui non vale la pena occuparsi. Figurarsi poi di quelli che si dicessero suoi interpreti, suoi sacerdoti.

Un dio che non mi spiega come fare a essere felice è un dio sdraiato a godersi la vita, lui; mentre io mi arrabatto con i miei limiti e i miei errori. Che esistono, che ci sono, e nessuna negazione, nessuna autogiustificazione possono davvero spingerci a credere che non esiste niente di male a fare il male.

Con chi lo asserisce in prima fila ad accusare, a giudicare, ad indignarsi. Nel nome dell’unico suo dio, se stesso. Se un Dio davvero c’è, deve essere Qualcuno di cui davvero valga la pena di occuparsi; Qualcuno che si occupi di me.

Per nessun altro dio mi drizzerò in piedi, o mi inginocchierò.

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