E’ l’argomento più populista dell’anno: l’immigrazione. Ebbene sì, tuffiamoci anche in questo. Opportunità o pericolo? Nessuno dei due. Se noi consideriamo l’immigrazione come un’ondata di persone che arrivano in Europa per motivi differenti (per cercare lavoro o per fuggire da guerre e persecuzioni) non abbiamo di fronte né un’opportunità, né un pericolo. Abbiamo solo tante persone che cercano di stabilirsi altrove. Quando vengono per lavorare è un’opportunità, sia per loro che per noi. Quando cercano rifugio da guerre e persecuzioni, è un’opportunità per noi: di fare loro del bene. Quando vengono senza un’idea chiara su cosa fare in futuro, è un pericolo per loro (di restare disoccupati, o di finire in mani sbagliate) e una seccatura in più per noi. Sappiamo tutti quanto sia difficile non generalizzare, quando queste persone arrivano al ritmo di 100mila o più all’anno. Ma si deve: ogni persona è veramente un caso a sé. L’unica soluzione ragionevole, per quanto difficile sia, è creare un filtro efficace, sia ai confini che (se necessario) all’estero, per capire effettivamente chi può entrare e chi no. Non dobbiamo aver paura di dirlo. Può entrare il perseguitato e il lavoratore che ha già un contratto o perlomeno un contatto sicuro. Non può entrare chi non ha idea di cosa vada a fare nel nuovo paese.
Sarà più accogliente quel sistema capace di creare più posti di lavoro e dunque più opportunità da dare a chi emigra. Il paese con un mercato del lavoro ingessato da sindacati e regole, al contrario, sarà meno accogliente per sua natura. Benché spesso tendiamo a vedere la realtà al contrario, sono proprio paesi liberisti come Gran Bretagna e Svizzera che ospitano, in proporzione alla loro popolazione, il maggior numero di immigrati. In paesi socialisti, come l’Italia e la Grecia, sono numericamente inferiori e quasi tutti “clandestini”, cioè senza prospettive di lavoro. Nonostante sia opinione comune dire il contrario, i numeri dimostrano che il liberismo è accogliente, mentre il socialismo è la vera cultura dello scarto.
Chiaro il concetto? Bene, il dibattito in corso lo ignora, perché è condotto, senza alcuna eccezione, esclusivamente da socialisti.
In primo luogo, il socialismo, sia di destra che di sinistra, considera l’immigrazione come un fenomeno collettivo, come fosse una “migrazione” di animali, senza distinguere da persona a persona e senza tener conto delle aspirazioni di ciascuno. La prima reazione dei socialisti di sinistra è di accogliere questa “massa di disperati”. Lo spirito è quello di un pronto soccorso: come fai a lasciar morire un ferito, un naufrago, un disperato? La risposta è sempre da pronto soccorso: fare spazio a chiunque arrivi. Per “fare spazio” si intende anche ignorare i diritti di proprietà dei cittadini autoctoni, usando case, alberghi e altre strutture private come alloggi temporanei, sequestrando navi e mezzi di trasporto, usando interi territori come dormitori pubblici, destinando le tasse dei cittadini a finanziare il tutto.
Questo atteggiamento va contro l’accoglienza autentica, che (al contrario) si fonda sulla proprietà privata, sia quella delle case affittate o vendute regolarmente ai nuovi arrivati, sia quella dell’imprenditore che offre lavoro al suo dipendente straniero. Tralasciamo pure i soldi sporchi e gli illeciti delle cooperative dedite all’accoglienza (anche se ce ne sarebbe da dire e scrivere parecchio), ammettiamo anche che tutto il sistema sia perfettamente pulito: la falsa accoglienza, sequestrando proprietà e declassando interi quartieri a dormitori fatiscenti, in ogni caso non genera opportunità né ricchezza, per nessuno, né per chi arriva né per chi accoglie. Questa deformazione dell’accoglienza genera la risposta esasperata, speculare e contraria, diffusa soprattutto nelle varie forme di socialismo di “destra” all’opposizione: il diritto collettivo ad espellere lo straniero. Chiunque sia. Sempre ragionando nell’ottica di un pronto soccorso, ma in questo caso di un ospedale da campo in piena battaglia, si ritiene che non ci sia più spazio e che la massa di malati gravi vada lasciata morire, in casi estremi anche abbattuta. I socialisti di destra rivendicano la povertà degli italiani in tempo di crisi e affermano che “non ci possiamo permettere” altri individui nel nostro spazio fisico.
E’ una visione del mondo crudele, oltre che irrealistica: i socialisti (sia di destra che di sinistra) paragonano l’economia a una torta con fette limitate e non tengono conto della potenziale capacità del mercato di espandersi e accogliere altri lavoratori e imprenditori, creando nuova ricchezza.
Dietro a queste soluzioni disfunzionali, nell’uno e nell’altro caso, ci sono teorie sull’origine del fenomeno dettate dalle varie correnti dall’ideologia socialista. Secondo la versione ufficiale, pro-accoglienza, l’immigrazione è un fenomeno epocale, collettivo e inarrestabile, causato dallo sfruttamento delle risorse del Terzo Mondo da parte dell’Occidente e delle sue multinazionali. Secondo la versione più aggiornata di questa teoria, di origine marxista, i migranti sarebbero anche “climatici”, spinti verso l’Europa dal cosiddetto “riscaldamento globale”, sempre causato dall’Occidente industrializzato con le sue emissioni di gas serra. Siccome la colpa è sempre “nostra”, di noi occidentali affamatori e inquinatori, l’accoglienza illimitata che sequestra i diritti di proprietà è il “risarcimento” minimo che dobbiamo al Terzo Mondo. A questa visione deformata della realtà, la minoranza di socialisti destrorsi, contrappone un’altra immagine ideologica, speculare e contraria: l’immigrazione sarebbe in realtà un’invasione, il prodotto di un “piano” segreto ordito da presunti poteri forti finanziari per compiere una “sostituzione di popolazione” (il leader della Lega Nord, l’ex comunista Matteo Salvini, parla addirittura di “genocidio”) in Europa. Gli immigrati sarebbero dunque letteralmente importati, dai suddetti poteri forti finanziari, per annacquare le etnie europee, fino a renderle una massa indistinta di meticci, poveri, illetterati, dimentichi della loro identità e ovviamente soggetti al volere della “tecnocrazia” finanziaria al potere. E’ difficile anche solo immaginare una fantasia così malata, ma da generazioni ne parlano i nazionalsocialisti, più tutti i loro eredi (e anche non pochi cattolici tradizionalisti e conservatori) della seconda metà del Novecento, sia prima che dopo la decolonizzazione dell’Africa.
Queste visioni distorte dall’ideologia partono da un minimo comun denominatore: l’odio socialista per l’Occidente, per il capitalismo, per il mercato libero e per le istituzioni (a partire dalla proprietà privata) che lo sorreggono. Semplificando molto, secondo gli ideologi socialisti di sinistra e destra, l’immigrazione è un fenomeno sempre causato dalle losche trame di qualche capitalista malvagio, dagli uni visto come sfruttatore del Terzo Mondo, dagli altri come inquinatore della “razza” europea. Entrambe le versioni di questa ideologia ignorano alcuni dati di realtà che dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti: la povertà dell’Africa non è causata dall’Occidente, ma dal fallimento dei sistemi politici africani, nati dopo la decolonizzazione. La povertà dell’Africa persiste perché le politiche di cooperazione e sviluppo, tutte basate su una logica di pianificazione statale dell’economia, sono clamorosamente fallite: centinaia di miliardi in fumo, sequestrati da locali classi dirigenti corrotte e violente. E soprattutto, entrambe le versioni del socialismo, ignorano scientemente il dato di fatto più contingente: che solo paesi liberi possono dare l’esempio a quelli poveri, non con fallimentari politiche di “cooperazione”, ma investendo là dove ci siano regole certe e prospettive serene. E nel frattempo possono realmente accogliere, non tutti, ma coloro che, fuggendo dal fallimento del continente nero, cercano un lavoro onesto in un mercato libero.