Sia l’”uguaglianza” – cuore della “Sinistra” – che la “proprietà” – riferimento essenziale della “Destra” – nascono in seguito all’avvenimento cristiano: fu infatti S. Agostino a dichiarare che l’importanza dell’uomo (e quindi i suoi diritti fondamentali) non dipende dalla Civiltà cui appartiene, ma dalla sua relazione con Dio.

Secondo un diffuso luogo comune dal cattolicesimo non sarebbero venuti altro che oscurantismo, tirannia e conculcamento delle libertà personali. Così facendo si dimentica però l’opposizione del cristianesimo alle tirannidi abituate a soffocare ogni sviluppo economico.  Gli stati tirannici, come ricorda il sociologo Rodney Stark, sono soliti fomentare una universale avarizia giacché al loro interno chi governa è preoccupato di estorcere il più possibile dai sudditi i quali, a loro volta, temendo una possibile e arbitraria confisca dei propri beni, reagiscono scialacquando o celando i frutti del proprio lavoro.

È quanto accadeva nella Cina settentrionale del XI secolo, dove una fiorente industria del ferro privata venne stroncata dalla decisione imperiale di dichiarare il ferro monopolio di Stato. Non deve sorprendere dunque che nelle tirannie il progresso sia lento e assai discontinuo, né che il tenore di vita sia condannato a rimanere ben al di sotto delle capacità produttive della società. Lo Stato autocratico poi generalmente investe pochissima della ricchezza confiscata per aumentare la produttività ma, al contrario, la spreca in varie forme di esibizionismo. Anche nell’antica Grecia e nell’impero romano vigeva ed era teorizzata un’economia che oggi qualificheremmo di stampo dirigistico.

Contrariamente a quanto si pensa, in questo come in altri casi fu la teologia cristiana a giocare «un ruolo fondamentale, gettando le basi morali per la democrazia, ben oltre tutto ciò che i filosofi classici avevano immaginato». (Rodney Stark, La vittoria della Ragione, Lindau, Torino 2006, p. 123). Nel nostro tempo molto si è scritto a proposito dell’uguaglianza fattuale, ma si omette di menzionarne il presupposto: l’idea che esista un’uguaglianza morale tra gli uomini. Questa convinzione morale ha impregnato di sé le istituzioni politiche e legali nel mondo occidentale ma nel corso della storia – e ancora oggi in alcune parti del mondo – non è stata affatto ovvia e scontata. Le sue origini vanno rintracciate nell’alveo del cristianesimo, più che nel liberalismo o nella filosofia illuministica del XVIII secolo. Il concetto universalistico dell’umanità si trova chiaramente nei vangeli, nelle lettere di san Paolo e negli scritti dei primi teologi cristiani, come l’opera Divinae Institutiones di Lattanzio (III sec. d.C.). Il filologo e latinista Renato Oniga, ordinario di Lingua e Letteratura latina a Udine, ha ricordato quanto il pensiero cristiano, in particolare con S. Agostino, si sia sviluppato in continuità con quello classico. Il mondo greco-romano, nella sua riflessione su una natura umana comune e universale, aveva infatti elaborato l’idea di humanitas. Tuttavia anche nel suo punto più alto, l’umanesimo di Cicerone, l’Antichità non arrivò mai ad estendere il concetto di humanitas al di là della romanità, identificata con la civiltà tout court. A questo provvederà il De Civitate Dei agostiniano. Nel suo confronto con la tradizione pagana, che si svolge sempre con tono amichevole e sereno, per quanto schietto e fermo, S. Agostino riprende l’idea classica di humanitas sviluppandola in una nuova direzione.

Nella nuova concezione cristiana l’umanesimo non è più limitato all’impero romano ma è allargato all’umanità intera: ogni uomo è creatura di Dio. Nella sintesi agostiniana, dunque, tutto quel che di buono era presente nella cultura pagana poteva risultare fruttuoso anche per i cristiani. «Da qui a sostenere – scrive sempre Stark – che ognuno ha dei diritti che non devono essere usurpati senza validi motivi, il passo è breve: consiste nelle dottrine dell’uguaglianza davanti alla legge e della certezza della propria casa e proprietà, anatemi per i tiranni». (La vittoria della Ragione, cit., p. 132) Di questo si occuparono i padri della Chiesa, in prima fila sant’Agostino, che riconobbero il diritto alla proprietà privata come condizione naturale dell’uomo, e i teologi della Scolastica (Tommaso d’Aquino). Nel 1215 una coalizione di nobili inglesi e funzionari ecclesiastici impose al re la Magna Charta, dando così agli inglesi libertà e diritti di proprietà sicuri; nel 1323 papa Giovanni XXII chiuse infine la questione condannando come eretica l’opinione secondo cui Cristo avrebbe sostenuto l’illegittimità della proprietà privata. La teologia, con Guglielmo di Occam, concluse non solo a favore della liceità della proprietà privata, ma sostenne che si trattava di un diritto precedente le leggi imposte da qualsiasi sovrano, non sovvertibile arbitrariamente se non per favorire il benessere comune.

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