TERZA PUNTATA DELL’INCHIESTA SUL VOTO CATTOLICO. Gianfranco Amato, segretario del Popolo della Famiglia (nonché presidente di Giuristi per la Vita), spiega che solo il PDF oggi è in grado di condizionare la politica e di essere coerente su quei principi non negoziabili sui quali, invece, tutti gli altri partiti hanno “negoziato” negli ultimi 24 anni. Obiettivo dichiarato? «Mettere il chiodo nella coda del serpente». [A cura dei siti Pepe , The Debater e La Baionetta ]

Avvocato Amato, voi dite che la famiglia è “il prisma” attraverso cui considerare l’uomo e le sue esigenze: nel concreto che cosa significa? E come si collega questo unico valore a tutte le questioni tipiche della politica: lavoro, economia, Europa, esteri, sicurezza nazionale?

Quella del “prisma” è una splendida metafora utilizzata da San Giovanni Paolo II quando parlò alla Giunta del Lazio. In quell’occasione il Santo Padre disse che ogni buon amministratore «non può non tenere la famiglia quale ‘prisma’, per così dire, attraverso cui considerare tutti i problemi sociali». La famiglia è la cellula della società, e quindi tutto passa attraverso di essa. Un giovane non può sposarsi e fare famiglia se non ha un lavoro. Una giovane coppia non può fondare una famiglia se non ha una casa. I figli di una famiglia debbono avere una sana istruzione. L’economia, il lavoro, l’educazione, l’impresa, l’edilizia, il credito, la salute sono tutti aspetti che attraversano la famiglia. Quando siamo nati nel giugno 2016 tutti ci accusavano di essere “monotematici”. Continuavamo a sentirci ripetere sempre la medesima obiezione: «Ma che cosa centra la famiglia? I temi che interessano la gente e di cui la politica deve occuparsi sono l’economia, il lavoro, la sicurezza, l’ambiente». Beh, è davvero una soddisfazione poter constatare che oggi tutti hanno capito. Faccio alcuni esempi. Cominciamo dal candidato premier del movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio: «Noi possiamo dire con forza che la famiglia e la natalità sono il filo rosso che unisce le nostre idee su fisco, scuola, sanità, lavoro». Che dire, poi, dell’ineffabile sottosegretario Maria Elena Boschi: «Il Partito Democratico farà del tema del sostegno alle famiglie una bandiera della campagna elettorale. Tornare alla famiglia non deve essere la bandiera identitaria dei cattolici in politica, ma la sfida di tutti i cittadini». Non poteva mancare neppure Matteo Salvini: «La Lega propone di concentrare le risorse sul sostegno alla famiglia e alla natalità». E Giorgia Meloni: «Una volta al governo Fratelli d’Italia metterà in campo il più grande piano a sostegno della natalità mai visto in Italia». E per finire Silvio Berlusconi che ha aggiornato il suo precedente slogan proprio aggiungendo il “nostro” tema: «Meno tasse, meno burocrazia, meno Stato, più persona, più impresa, più famiglia». Beh, insomma, tutti – ma proprio tutti, da destra a sinistra, grillini inclusi – oggi parlano di famiglia.

Dite anche di “voler portare” la Dottrina Sociale della Chiesa in politica: come pensate di riuscirvi?

Applicandone i principi. Ho scoperto, girando in questi anni, che la stragrande maggioranza dei cattolici non sa cos’è il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Alcuni, male interpretando il termine “dottrina”, pensano si tratti di teologia. Il Compendio è invece un vero e proprio programma politico che affronta temi come l’economia, il lavoro, il fisco, la salute, l’immigrazione, l’ambiente e molto altro. Il Popolo della Famiglia è l’unico partito in Italia che ha assunto integralmente il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa come proprio programma politico-valoriale. Noi ci ispiriamo a quei principi e per la prima volta nella storia italiana vogliamo porre il contenuto del Compendio al centro dell’azione politica.

Non bastavano Lega FI e FdI per contrastare l’attuale deriva antropologica? Il voto dato al PDF non rischia di far vincere il centro-sinistra o il Movimento 5 Stelle?

Ci sono due risposte a questa domanda. La prima risposta è sul piano pragmatico: senza una presenza strutturata e visibile all’interno di una coalizione di governo, molti dei temi a noi cari resterebbero semplici promesse elettorali “dantesche” (le celebri «lunghe promesse con l’attender corto»). Un solo esempio fra tanti: nel 2008 il programma di Forza Italia contemplava espressamente il cosiddetto “quoziente familiare”. Com’è noto, purtroppo, questa promessa venne sonoramente disattesa da Berlusconi. E non valse a dissuaderlo neppure una petizione popolare di ben 1.071.348 firme. Se questo milione di cittadini italiani fosse stato rappresentato da una forza politica del 3% all’interno della maggioranza, oggi quel tanto auspicato strumento di giustizia fiscale in favore della famiglia sarebbe già un istituto del nostro ordinamento giuridico. L’attuale compagine elettorale del centrodestra ha già ampiamente governato il nostro Paese con maggioranze bulgare in parlamento, eppure facciamo fatica a ricordare provvedimenti legislativi seri in materia di vita, famiglia o educazione. Ad esempio Giorgia Meloni – il cui impegno politico iniziò venticinque anni fa (1992) ed è stata pure ministro – a memoria non ha fatto neppure la larva di una proposta di legge su vita, famiglia o educazioneOra, dopo ventiquattro anni di alternanza alla guida del nostro Paese tra centrodestra e centrosinistra, che garanzie abbiamo che i partiti che hanno già governato l’Italia possano realizzare la prossima volta ciò che non hanno fatto negli ultimi cinque lustri? Nessuna. A meno che non ci sia una forza politica strutturata e visibile in grado di condizionare un futuro governo di centrodestra. Questa è la funzione che Il Popolo della Famiglia si prefigge.

La seconda risposta è sul piano etico. Per noi è semplicemente inconcepibile – se non addirittura immorale – che su quelli che il grande ed indimenticato Benedetto XVI definiva «principi non negoziabili», si possa parlare di libertà di coscienza, di astensione o di fuga pilatesca. Qui sta la vera grande differenza tra il Popolo della Famiglia e gli altri partiti del centrodestra. Un esempio tra tutti. Prendiamo quello che è successo il 20 aprile 2017 quando alla Camera dei Deputati è stato approvato il nefando testo di legge sul cosiddetto testamento biologico, alias “eutanasia all’italiana”. I deputati del Movimento 5 Stelle, di Mdp e di Sinistra Italiana sono stati coerenti e compatti: tutti i loro deputati presenti hanno votato granitici in favore dell’eutanasia. E i partiti di centrodestra? Il capolavoro l’ha compiuto Forza Italia: 33 deputati si sono dati alla macchia, mentre i 17 presenti sono riusciti a votare in tutte le maniere (3 favorevoli, 12 contrari, 2 astenuti). Prendiamo, invece, Fratelli d’Italia che secondo alcuni dovrebbe essere la forza politica più vicina ai nostri valori. Degli 11 deputati di quel partito ben 6 non si sono presentati, mentre dei restanti 5, 1 ha persino votato a favore dell’eutanasia. Ecco, se al posto di Fratelli d’Italia ci fosse stato Il Popolo della Famiglia la situazione sarebbe stata la seguente: 11 deputati, 11 deputati presenti, 0 favorevoli e 11 voti granitici contro l’eutanasia. Questa è la differenza! E se qualche deputato del Popolo della Famiglia si fosse sentito male, sarebbe stato accompagnato in ambulanza a Montecitorio e avrebbe votato dalla barella! Perché non c’è giustificazione o missione che tenga quando in parlamento si legifera di vita o di morte. E sui principi non negoziabili purtroppo, sinistra e grillini hanno dimostrato di essere molto più seri di quella strana “Arca di Noè” che è il centrodestra. Quando parliamo di “principi non negoziabili” usiamo le stesse parole pronunciate da Benedetto XVI nel discorso al PPE: «Protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale; riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio (…); protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli». E lo stesso Ratzinger spiegava, a scanso di equivoci, che difendere quei principi non significa essere dei bigotti: «Questi principi (…) sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità». Negare questi principi «costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa». Non si tratta di essere “fissati” sui temi etici. Si tratta di essere seri con gli elettori che tengono a quei temi, con il popolo che è sceso in piazza per difendere quei temi. In politica occorre un partito che su questi principi tenga la barra dritta e costringa un futuro governo ad attuare politiche concrete rispetto alla vita, alla famiglia e alla libertà d’educazione. Il Popolo della Famiglia si candida a questo ruolo di «chiodo piantato nella coda del serpente».

Lei, Adinolfi e gli altri vostri colleghi auspicate che dal 5 marzo in poi – qualsiasi risultato ottengano il Comitato Difendiamo i Nostri Figli e il Popolo Della Famiglia – le due realtà possano tornare a collaborare per il bene comune?

Il 5 marzo, qualunque sarà il risultato ottenuto dal Popolo della Famiglia, accadrà un fatto storico. Nessuno potrà più dire che non esiste un partito di riferimento dei cristiani in Italia. Dobbiamo solo attendere i risultati e poi cominciare tutti insieme a completare il progetto di una presenza strutturata, autonoma e visibile di una forza politica capace di concorrere al bene comune secondo una prospettiva antropologica cristiana.

Avete ricevuto sostegno anche da uomini di Chiesa? In questo modo non vi è il rischio di “strumentalizzare” le parrocchie?

Ci ha commosso l’appello a sostegno del Popolo della Famiglia sottoscritto da più di duecento sacerdoti, religiose e religiosi. Ci ha commosso anche il sostegno paterno di alcuni Vescovi. Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario del 18 aprile 1948. La domanda che io pongo sempre è questa: «In quella fatidica e storica elezione politica la Chiesa ha fatto bene o ha fatto male ad entrare a gamba tesa nella competizione?». Io credo che abbia fatto bene. Ma se allora era in gioco la libertà di un popolo, ora è in gioco la distruzione stessa dell’uomo: come può la Chiesa restare indifferente? Oggi la politica, ed in particolare il parlamento, è il luogo dove si decide come l’uomo nasce (fecondazione artificiale) e muore (eutanasia), chi è (identità di genere), che cos’è il matrimonio (nozze gay), e via proseguendo. Come fa uno che ha la grazia di credere in Cristo a non avvertire l’esigenza di portare in quel luogo la luce della fede, della Verità, del Vangelo e, direi pure, della ragione? Per questo ritengo essenziale oggi l’unità dei cristiani in politica.

Tra l’altro, lei ha scritto un significativo libro con don Gabriele Mangiarotti sul servo di Dio don Giussani: Per l’umano e per l’eterno-il dialogo con don Giussani continua. Quanto ritiene importante per la sua formazione e il suo impegno politico l’insegnamento del sacerdote di Desio?

La maturazione della mia fede è avvenuta grazie all’incontro avvenuto quarant’anni fa con don Luigi Giussani. Avevo solo sedici anni e fui affascinato da come quell’uomo di Dio riuscisse a spiegare a degli adolescenti la grandezza dell’esperienza cristiana. Quattro cose, soprattutto, mi colpirono della sua originale proposta: la ragionevolezza della fede; la capacità di giudicare la realtà e tutto ciò che accade; la differenza tra moralità e moralismo; la dimensione culturale della fede. Ma quello che più mi affascinava era l’impeto militante per la Verità. Don Giussani amava ripeterci che non esistono mai «battaglie perse in partenza», se sono battaglie intraprese «per amore al Vero». Proprio la dimensione culturale della fede, che ho imparato da Giussani, mi è divenuta ancora più chiara quando lessi un passaggio, poi divenuto celebre, del discorso di San Giovanni Paolo II al MEIC: «Una fede che non diventa cultura non è pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta». E come mi spiegò un giorno il compianto cardinal Carlo Caffarra – un altro vero maestro – «la fede non può non generare cultura in quanto non è un fatto privato» ed è «il meridiano che attraversa tutti i paralleli, tutte le grandi esperienze dell’umano quali il lavoro, l’amore tra un uomo e una donna, la società civile, l’esercizio del potere politico». Per questo motivo mi invitò ad essere «ben vigilante» di fronte al grande tentativo di ridurre la fede a fatto privato. «La Chiesa» – diceva – «non ha mai scelto volontariamente di andare nelle catacombe perché Gesù aveva detto: ‘Predicate sui tetti ciò che io vi ho detto segretamente’». E Caffarra si lamentava giustamente del fatto che «oggi si tende a tacere, ‘perché così si può andare d’accordo’, e non si capisce, però, che il presupposto non è quello di andare d’accordo!». Lui insisteva nel dire che uno dei segni che la fede è viva è rappresentato dal fatto che essa generi fatti culturali straordinari. Ebbene proprio l’idea di una fede che è capace di diventare cultura ha sempre destato in me il desiderio di intervenire nella realtà, di agire, di operare.

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