Il nuovo ministro dell’Interno tedesco ha affermato che “l’Islam non fa parte della Germania”. La cancelliera Merkel si dissocia e, contemporaneamente, invita i cristiani a riscoprire le proprie tradizioni. Ma siamo sicuri che l’Islam sarebbe davvero compatibile con un Occidente che riscoprisse le sue radici cristiane?
La Germania ha un nuovo ministro dell’Interno. È Horst Seehofer, leader dell’Unione cristiano-sociale, Csu, il partito che governa la Baviera ed è affiliato alla Cdu, l’Unione cristiano-democratica guidata dal premier Angela Merkel. Il neo ministro ha suscitato polemiche dichiarando nei giorni scorsi al quotidiano Bild: “l’Islam non fa parte della Germania”. Il paese è stato plasmato dal cristianesimo, ha aggiunto, e non deve rinunciare a tradizioni come il riposo domenicale, la celebrazione di Natale, Pasqua, Pentecoste: “i musulmani che vivono con noi – ha detto – ovviamente fanno parte della Germania, ma questo non significa che per un qualche malinteso senso di deferenza dovremmo sacrificare le nostre tradizioni e le nostre usanze”.
Peraltro neanche ce lo chiedono, i musulmani, o almeno non quelli che vivono in Italia. Nelle scuole, ad abolire i presepi, a modificare i canti di Natale eliminando le parole “che potrebbero offendere i bambini musulmani” e a rimuovere i crocifissi ci pensano degli insegnanti italiani. Sempre per non offendere, sono i consigli comunali composti da italiani a non concedere l’autorizzazione ad allestire i presepi nelle piazze: e non in seguito a manifestazioni di protesta e richieste formulate da stranieri. Era cittadino italiano Adel Smith (scozzese per parte di padre) che definiva il crocifisso “un cadavere in miniatura” e nel 2006 ne gettò uno dalla finestra della camera d’ospedale in cui era ricoverata la madre. Tutto sommato sono pochissimi gli immigrati di fede islamica che avanzano richieste di “rispetto” e mostrano fastidio per le tradizioni europee. Quelli irregolari, arrivati tramite le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico clandestino di uomini dall’Africa e dall’Asia, chiedono Wi Fi, più denaro, sistemazione in grandi città… indossano senza imbarazzo berretti, sneakers di marca, giubbotti e jeans firmati, accettano volentieri l’invito a banchetti imbanditi in chiesa.
Molti stati in Africa e in Asia d’altra parte non si preoccupano di sopprimere simboli e ricorrenze cristiani per riguardo ai cittadini di fede islamica, persino dove questi sono la maggioranza. Il Marocco, governato da un sovrano discendente del profeta Maometto, a Natale si riempie dappertutto di decorazioni scintillanti e alberi di Natale. La capitale della Malesia, Kuala Lumpur, lo scorso Natale ostentava uno degli alberi di Natale più spettacolari. Persino il Pakistan, uno degli stati in cui i cristiani sono più perseguitati, nel 2016 ha proclamato festivi la domenica di Pasqua e il lunedì dell’Angelo.
Comunque sia, il cancelliere tedesco Angela Merkel alle parole di Seehofer ha replicato che in Germania vivono quattro milioni di musulmani che “appartengono alla Germania così come la loro religione. Dobbiamo fare di tutto per rendere positiva la convivenza tra le religioni”. È più o meno quel che aveva detto tre anni fa all’indomani dell’attentato alla rivista Charlie Hebdo: “Per me tutte le persone che condividono il nostro sistema di valori appartengono anche al nostro Paese, insieme alla loro religione. Piuttosto – aveva commentato – vedo la necessità dei cristiani di parlare di più e in modo consapevole dei loro valori, e di approfondire le loro conoscenze sulla loro religione. Con il progressivo processo di secolarizzazione, la conoscenza del cristianesimo lascia sempre più a desiderare. Ognuno dovrebbe chiedersi cosa può fare per consolidare la propria identità, a cui appartiene in gran parte anche la religione cristiana”.
Il cancelliere tedesco sorprendentemente non considera o minimizza il fatto che la religione islamica, anche nella sua manifestazione “moderata”, non riconosce il sistema di valori occidentale. I musulmani che vivono in Europa ne apprezzano la ricchezza, il benessere, i servizi sociali di cui possono usufruire, l’abbondanza di beni materiali, le ferie, le assicurazioni, i diritti sindacali. Ma la loro fede non consente che ne condividano i principi: primo fra tutti, l’universalità della condizione umana, i diritti ad essa inerenti, inalienabili. L’Islam rispecchia i valori delle società arcaiche in cui è nato, nelle quali i diritti dipendono dallo status sociale, deciso a sua volta in gran parte da fattori ascritti come il sesso e l’anzianità. Bernard Lewis, forse il più grande studioso del mondo islamico, 30 anni fa ha pubblicato un libro intitolato “L’Europa e l’Islam” in cui spiegava l’inevitabile scontro tra Islam e Cristianesimo, Islam e Occidente, e rifletteva sulle enormi conseguenze in Europa di una presenza musulmana massiccia e permanente: “Queste comunità – scriveva – sono tutt’oggi legate ai loro paesi di origine da mille vincoli di lingua, di cultura, di parentela, oltre che di religione, eppure vanno integrandosi inesorabilmente, nei paesi dove oggi risiedono”.
I musulmani, di questo il cancelliere Merkel forse non si rende conto, possono integrarsi grazie proprio al progressivo processo di secolarizzazione in atto, secolarizzandosi a loro volta, come in effetti succede. Invece, di una Europa con un’identità e un attaccamento forti alla tradizione, al proprio sistema di valori, l’Islam non può far parte.