Pochi giorni fa si è svolto l’ultimo incontro per una soluzione europea condivisa del problema dell’immigrazione illegale, ma tutto è ancora una volta naufragato nel nulla, a causa dei veti dei singoli Stati. L’ennesima riprova di una politica continentale insulsa, che alimenterà ancor più il rancore anti-europeista e anti-immigrati.
Il 5 giugno si è svolto a Bruxelles un incontro del Consiglio dell’Unione Europea convocato per discutere una proposta di riforma del regolamento di Dublino, la convenzione in tema di diritto di asilo.
L’intenzione era di garantire una condivisione equa di responsabilità – quanti richiedenti asilo deve accogliere ogni paese – e di solidarietà – gli aiuti da fornire ai paesi che ne accolgono di più e le sanzioni da imporre a quelli che non rispettano le quote assegnate.
La proposta iniziale era che ogni stato non dovesse ospitare più del 150% della sua capacità di accoglienza (misurata con dei parametri) e che ogni riallocazione rifiutata comportasse una penale di 250.000 euro. A marzo, però, la Bulgaria, che ha la presidenza di turno del Consiglio Ue, ha presentato una bozza che porta l’obbligo di riallocazione dei richiedenti asilo ospiti di un paese al 180% della capacità di accoglienza, riduce la penalità per il rifiuto di riallocazione a 30.000 euro e introduce il principio detto di “responsabilità stabile” secondo cui lo stato in cui entra un emigrante illegale deve garantire di assumersene la responsabilità per dieci anni. I maggiori stati di destinazione degli emigranti illegali – Italia, Grecia, Spagna, Malta e Cipro – per i quali la proposta bulgara significa garantire più servizi e per più tempo e nel frattempo ottenere meno sostegno dall’Europa, hanno protestato, chiedendo tra l’altro che il periodo di responsabilità fosse ridotto a due anni. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia – il gruppo Visegrad dei paesi europei centrali – ha confermato il rifiuto di accogliere richiedenti asilo. Germania, Svezia, Paesi Bassi e paesi Baltici (Lettonia, Estonia e Lituania) si sono dichiarati contrari alla bozza.
Tutto è stato quindi rimandato alla prossima riunione del Consiglio, il 28-29 giugno. A luglio toccherà poi all’Austria, la nuova presidenza di turno, occuparsi della questione. Vienna ha anticipato la propria linea. Il ministro dell’interno austriaco, Herbert Kickl, ha spiegato che Vienna farà una proposta per un nuovo paradigma, una “rivoluzione copernicana nel settore del sistema d’asilo”. “Non penso che abbiamo una chance realistica di compromesso – ha detto – la solidarietà deve essere rinnovata nel settore della protezione delle frontiere”.
“La riforma è morta” ha commentato al termine del vertice il sottosegretario di Stato belga con delega per l’immigrazione Theo Francken secondo cui “bisogna smettere di accettare delle imbarcazioni di migranti, bisogna cessare di incitare al traffico e lasciare arricchire le mafie”. Benché disposto al compromesso, ha aggiunto il ministro Francken, il Belgio tuttavia non vuole più “immigrazione illegale. Diciamo come gli italiani, basta. L’Italia è obbligata a salvare i migranti in mare e deve accoglierli senza poterli rimpatriare in Libia o altrove. Ma finché questo sarà possibile, avremo il caso. Dobbiamo poter respingere le imbarcazioni”.
Il ministro belga ha inoltre detto che intende sostenere l’adozione in Europa del modello australiano che ammette una immigrazione selezionata e mirata e rifiuta radicalmente l’immigrazione illegale. Ha aggiunto che deve essere ridiscussa l’interpretazione troppo ampia che la Corte europea dei diritti dell’uomo dà dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, articolo che proibisce la tortura: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Dimitri Avramopoulos, Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, ha subito replicato che “il modello australiano non sarà mai adottato in Europa e non ci saranno respingimenti di emigranti in Nord Africa”.
Le dichiarazioni dei ministri belgi e austriaci hanno provocato immancabili reazioni negli ambienti in cui ancora si pretende che a emigrare clandestinamente siano persone disperate, gli ultimi degli ultimi, i reietti del pianeta: loro non hanno alternativa – questo è il ricatto morale dell’accoglienza – devono andarsene se vogliono vivere e sperare e noi non abbiamo alternativa, li dobbiamo accogliere.
Il paradigma del ricatto morale che da anni impone di accogliere chiunque vuole trasferirsi in Europa è stato ben espresso in questi giorni dal presidente del Partito socialista belga Elio Di Rupo (di origine italiana). “Un rifugiato che fugge dalla guerra, dalla tortura, dalla catastrofe, noi siamo obbligati ad accoglierlo dalle convenzioni internazionali”. Ovviamente nessuno lo mette in dubbio. Però ormai lo sanno tutti – sicuramente anche Elio di Rupo – che gli emigranti illegali chiedono asilo arrivando in Europa, per non essere respinti, ma tra di loro i profughi con diritto di ottenerlo sono pochi.
“Vogliamo far morire annegati donne e bambini? – è l’altra frase a effetto del politico belga – perché è questo che si intende quando si dice che bisogna rimandare indietro le imbarcazioni”. Oltre al fatto che le imbarcazioni sono colme di giovani maschi, donne e bambini sono pochi, è anche per mettere fine ai morti in mare – e quanti nelle migliaia di chilometri percorsi via terra prima di raggiungere le coste del Mediterraneo – che si vuole ostacolare l’emigrazione clandestina gestita dalle organizzazioni criminali.